Immaginate di essere cresciuti nella seconda metà del 1800. Immaginate di avere come insegnante di biologia Thomas Henry Huxley, il Mastino di Darwin, uno dei più ferventi sostenitori della teoria sull’evoluzione della specie. Immaginate di guardarvi intorno, di vedere strabilianti innovazioni tecnologiche da una parte e rivoluzionarie teorie scientifico-filosofico evolutive dall’altra. Cose materiche che ricollocano l’uomo. Che lo fanno salire di qualche gradino nella percezione del proprio potere, nell’illusione di controllo sul mondo materiale. Idee che per contro lo fanno dubitare della propria unicità, che lo riposizionano in una nuova natura decisamente meno antropocentrica. Perché se è vero che discendiamo dalle scimmie, cosa resta della convinzione di essere le creature prescelte da Dio?
Insomma immaginate tutto questo è inizierete a comprendere in quale terroir socio-culturale è cresciuto Herbert George Wells, uno dei padri della fantascienza, una delle menti più brillanti che la scienza e la filosofia abbiano mai avuto tra le loro fila.
Ma chi è H.G. Wells? Inglese, nato a Broomley nel 1866. Insegnante, saggista, giornalista, donnaiolo e scrittore. Sue sono alcune delle colonne letterarie del genere fantascientifico, romanzi come “L’uomo invisibile”, “La guerra dei mondi”, “L’isola del dottor Moreau” e “La macchina del tempo” (per citare i suoi romanzi più noti). Visionario e profetico, Wells era convinto che la scienza avrebbe potuto (e dovuto) essere una guida per la razza umana. Un timone capace di indirizzare la nostra specie verso un futuro di pace. Morirà nel 1946, disilluso, le sue convinzioni illuministe disintegrate insieme a Nagasaki e Hiroshima dalle prime bombe atomiche.
Nel 1895 però, anno in cui Wells pubblica “La macchina del tempo”, la sua brillante intuizione è ancora pura, immacolata. E lo scrittore decide di concentrare questo potentissimo strumento sulla contemporaneità, sul presente del quale è impregnato, sulle contraddizioni di un mondo e di una società che iniziano a viaggiare a velocità diverse. Su quello che potrebbe essere, sulle visioni suggerite da un finire di secolo a dir poco frizzante.
Di cosa parla “La macchina del tempo”? Di uno scienziato, della sua scoperta e di come grazie al marchingegno da lui costruito questi riuscirà a viaggiare nel tempo. Il Viaggiatore racconterà le sue scoperte a un incredulo manipolo di ospiti da lui stesso convocato.
Un futuro in particolare, di quelli dettagliati da Wells, riassume tutta la potenza deduttiva dell’autore. È un futuro estremo – l’anno è il 802.701 – dove gli esseri umani si sono divisi in due gruppi che ben poco hanno in comune. Da una parte gli Eloi, che vivono in superficie una vita in apparenza spensierata. Non devono lavorare, non devono procurarsi vestiti, oggetti o cibo perché questi sono sempre, e misteriosamente, disponibili. La totale inattività, il benessere e la mancanza di necessità fisiche o mentali hanno quasi completamente tolto agli Eloi la capacità di esprimersi. Emettono suoni pervasi di una qualche emotività, ma il linguaggio è uno strumento ormai dimenticato. Sono esseri umani, certo. Ma infantili. Che vivono la giornata e la vita con una semplicità priva di qualsiasi obiettivo.
L’altro gruppo è quello dei Morlock (o Morlocchi nelle prime traduzioni). Creature umanoidi deformi che vivono nel sottosuolo, che mantengono in funzione impressionanti macchinari capaci di produrre tutto quello che serve agli Eloi per sopravvivere. La scoperta del Viaggiatore sulle dinamiche di questo mondo è terrificante: i Morlock, di tanto in tanto, effettuano escursioni notturne in superficie. Durante questi raid rapiscono alcuni degli Eloi, di fatto quasi allevati e accuditi come animali, di cui poi si cibano: cannibalismo, dunque. Perché seppure molto diversi tra loro, Eloi e Morlock sono per certo entrambi discendenti dalla razza umana.
Questo futuro descritto da Wells è un’inquieta e visionaria rappresentazione del mondo nel quale l’autore era immerso. È facile oggi – e inevitabile – intuire come i Morlock siano una allegoria della classe operaia che nel mondo di Wells andava formandosi con rapidità. Una parte sociale nuova, figlia della rivoluzione tecno-industriale di fine secolo. Relegati al sottosuolo, lontani dal sole e dalla luce, i Morlock vivevano praticamente in simbiosi con macchinari incredibili. La vita di un operaio di fine ‘800 era poi tanto diversa? E tutto il suo lavoro, tutta la sua vita, non si bruciava in fretta per arricchire gli Eloi di superficie che prosperavano lontani dagli orrori del sottosuolo industriale?
Nel futuro descritto da Wells c’erano anche i semi di una possibile e violenta lotta sociale capace di scavalcare il dibattito politico per diventare, in sintesi, vero e proprio cannibalismo inter-classe.
La forza del pensiero di Wells, però, non si estingue con il trascorrere dei decenni e dei secoli. Anzi. La potenza delle sue intuizioni si allunga oltre la sua vita, oltre la fine della seconda guerra mondiale e si dimostra incredibilmente longeva, profetica. Trova il modo di evolversi in una sorta di darwinismo filosofico. Le sue intuizioni sono così brillanti da sopravvivere, anzi no, da adattarsi a un mondo che cambia velocemente.
Prendiamo il presente. Se provassimo a scandagliarlo tentando di immaginare cosa avrebbe pensato H.G. Wells forse scopriremmo dei nuovi Eloi. Una discendenza dell’essere umano. Un ramo evolutivo occidentale che gode di un certo agio. Che sta affrontando un impoverimento del linguaggio, proprio come era stato per gli Eloi. Una specie che sembra curarsi ben poco del futuro, che vive alla giornata.
Se questa semplificazione ci convince, se noi siamo i nuovi Eloi, quali sono i nuovi Morlock? La lotta di classe è archiviata, le cupe fabbriche che esaurivano la vita dei lavoratori rimpiazzate da ambienti decisamente meno letali. I Morlock post-litteram sono (potrebbe esserere?) le neonate Intelligenze Artificiali (neonate in termini di diffusione e di accessibilità perché la loro storia inizia tempo fa). Creature che vivono nelle grotte digitali di un mondo sotterraneo le cui geometrie sono imperscrutabili per noi Eloi. Che ogni tanto emergono in superficie mostrando la loro presenza e divorano parte del patrimonio culturale delle creature di superficie. Che, soprattutto, allevano (o allenano al contrario?) le nostre capacità per poi cannibalizzarle.
Si crea un inquietante cortocircuito in questa sorta di simbiosi che già Wells aveva teorizzato, seppure più sanguigna e sanguinaria, ben più di cento anni fa. Perché noi, così come gli Eloi utilizzavano i vestiti e consumavano il cibo prodotto dai Morlock, usiamo sempre di più gli sterminati talenti delle Intelligenze Artificiali. Ma non si tratta di un utilizzo privo di effetti collaterali: certo non vendiamo la nostra anima, non siamo come il dottor Faust, ma il prezzo da pagare c’è.
L’impatto ambientale ed energetico non è banale, e non è nemmeno trascurabile. Addestrare una IA produce cinque volte l’anidride carbonica emessa da un’automobile nel suo intero ciclo di vita. Fabbricazione compresa. Una domanda fatta a un’IA consuma quanto 100 ricerche su Google e produce altrettante scorie.
E cosa provoca l’aumento di anidride carbonica? Il cambiamento climatico è il suo risultato più appariscente, quello che si indossa per le grandi occasioni. Quello che fa voltare tutti alle feste. Ma l’eccesso di co2 inizia a intaccare anche la nostra capacità di concentrazione perché il cervello, semplicemente, non si è evoluto in condizioni nemmeno lontanamente simili a quelle attuali. È come far viaggiare un motore tenendolo sempre alto di giri. La nostra centralina di comando, semplicemente, è progettata per condizioni di lavoro differenti.
Una dimostrazione banale? Provate a chiudervi in una stanza affollata e a rimanerci per quattro, sei, dieci ore. Mal di testa. Affanno. Perdita di lucidità. Le performance calano, il potenziale intellettivo viene logorato e si innescano meccanismi di iper-lucidità che ci danno l’illusione di essere presenti e vigili mentre in realtà non lo siamo. Un po’ come quando si beve troppo.
Il mondo, a causa delle emissioni di co2 in costante aumento, sta diventando un’enorme stanza affollata e il nostro cervello è sempre su di giri. In affanno. Poco lucido.
E allora ci rivolgiamo alle IA che ci aiutano nelle attività ad alto valore aggiunto. Ma le IA continuano a produrre anidride carbonica, un veleno silenzioso e non letale che poco alla volta erode le performance del nostro cervello.
Più che una simbiosi, forse, un rapporto parassitario. Tra noi nuovi Eloi e i nuovi Morlock. Nuove tecnologie energetiche o miglioramenti nelle performance dei processori potrebbero invertire questa tendenza, potrebbero spezzare questo cortocircuito e attenzione: non è luddismo 3.0, è solo presa di coscienza.
Perché le IA sono venute in superficie e, come i Morlock di Wells, non hanno intenzione di tornare nelle grotte prima di aver raccolto il loro bottino cannibale.
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