Dopo otto anni di assenza dalle sale David Cronenberg torna al cinema e lo fa aggiungendo un tassello al trittico novo-carnista composto da ‘Videodrome‘ (1983), ‘Il pasto nudo‘ (1991) ed ‘eXistenZ‘ (1999), lo fa espandendo alcune di quelle tematiche e lo fa, forse, riempiendo alcuni vuoti concettuali che si era lasciato alle spalle.
Siamo nel futuro. Un futuro nel quale l’uomo ha dimenticato il dolore. Un futuro nel quale proprio questa grande assenza – il dolore è insieme sopravvivenza, catalisi e motore evolutivo (George R.R. Martin lo ha utilizzato come portentoso espediente narrativo) – ha spinto l’uomo a esplorare ambiti tanto bizzarri quanto oscuri. Uno su tutti? La chirurgia come atto creativo, come surrogato o evoluzione del sesso, come estasi artistica. Saul Tenser (un Viggo Mortensen tisico, sofferente e crepuscolare) è uno dei più performanti artisti di questa nuova volontà creativa.
Il suo corpo genera costantemente nuovi organi (le mutazioni sono un’altra caratteristica del futuro di Cronenberg) che vengono poi rimossi da Caprice, la sua altra metà artistica (Léa Seydoux), durante lunghe performance chirurgico-artistiche. Intorno a questa violazione/santificazione del corpo umano si muovono le trame oscure di una multinazionale bio-tecnologica, i desideri inconfessati di Timlin e Wippet (Kristen Stewart e Don McKellar), due impiegati di un ente che si occupa di catalogare e certificare tutti i nuovi organi, e le speranze di Lang Dotrice (Scott Speedman), membro e fondatore di uno strano gruppo che ha tutte le intenzioni di riprendere in mano le redini dell’evoluzione.
Il cinema novocarnista di Cronenberg (di cui questo Crimes of the Future fa parte a pieno titolo) ha sempre avuto l’ambizione di ridefinire il concetto di realtà, materia e illusione (vi mando qui per un’analisi esaustiva della faccenda) e di trovare un nuovo equilibrio tra questi tre pilastri del presente. Qui Cronenberg fa un passo di lato andando a inserire Crimes of the Future nella cronologia concettuale che si sviluppa tra Videodrome ed eXistenZ. Il futuro che descrive non è infatti mentale come quello di eXistenZ, non è un futuro nel quale la struttura della realtà era incrinata dal cortocircuito con un videogame che influenzava e veniva influenzato dalla realtà stessa. E non è nemmeno così ‘tecnocentrico’ come quello di Videodrome.
In Crimes of the Future l’evoluzione tecnologica è riflesso opposto di quanto lasciava presagire il futuro prospettato in Videodrome. Qui sono l’assenza di dolore, la chirurgia e gli organi a definire le coordinate della ricerca tecnologica. E così in un mondo di archivi cartacei, di televisori catodici, in un mondo dove i social network non esistono tutto – o quasi – è in funzione del suo rapporto con l’essere umano. Sedie dinamiche per agevolare la colazione, bio-letti che sono esclusivo appannaggio dei pochi fortunati che ancora hanno a che fare con il dolore e sarcofagi autoptici quasi senzienti.
C’è, ovviamente, il tema di un esibizionismo morboso, seppure qui, a differenza di quanto accadeva in Nope, non viene emesso alcun giudizio morale a riguardo). Ci sono anche espliciti fil rouge che connettono il nostro presente al “futuro-passato” di Crimes of the Future (penso, per esempio, all’uomo con decine di orecchie innestate sul corpo e occhi e bocca cuciti nel disperato appello all’ascolto). C’è una spruzzata di ecologia con il relitto della nave, con le plastiche e i veleni. Ma c’è, più di tutto, un altro cortocircuito che completa e mette in discussione al tempo stesso l’essenza del film. Il mondo di Tenser e di Caprice è dominato da una tecnologia congelata dall’evoluzione umana, alla nascita costante di nuovi organi, all’assenza di dolore.
Ma c’è quella stessa tecnologia che diventa a sua volta evoluzione. L’apparato digerente chirurgico di Lang Dotrice, un impianto artificiale di organi artificiali, fa il salto di specie catalizzando l’imponderabile: un evoluzione genetica che deriva dalla chirurgia. Così Brecken, il figlio di Lang, è insieme promessa e condanna. È di fatto l’inizio e la fine perché se è vero che la nuova umanità priva di dolore e imprevedibilmente mutante ha congelato tempo e tecnologia in una sorta di infinita estasi chirurgica, cruda e sanguigna, è anche vero che la chirurgia può prendersi la sua rivincita catalizzando a sua volta la nuova evoluzione. Ecco un altro passaggio tremendamente interessante: il dottor Moreau di H.G. Wells (L’isola del Dott Moreau) cercava l’evoluzione attraverso il dolore. Era con il dolore – e con la chirurgia – che Moreau tentava di trasformare gli animali in esseri umani. Cronenberg usa l’assenza di dolore – e la chirurgia – per tracciare un nuovo sentiero evolutivo. Per sancire la superiorità dell’uomo sulla evoluzione.
È un vaso di Pandora, quello di Crimes of the Future. Un vaso di Pandora che però il regista schiude appena lasciandoci intuire gli orrori (o le meraviglie) che potrebbe liberare ma senza mostrarci nulla fino in fondo. Perché, forse, adesso, spetta a noi decidere quale sarà il prossimo passo del culto novocarnista.
Nota di colore: se vi interessa la spettacolarizzazione della chirurgia nel crepuscolo evolutivo dell’uomo, vi consiglio di leggere La fine della fine di ogni cosa, di Dale Bailey.