Da sempre (e per sempre) si discute (e si discuterà) del rapporto tra letteratura e cinema. O meglio, tra narrazione letteraria e relativa trasposizione cinematografica. E più o meno dal 1903, con il primo cortometraggio muto tratto dal 'Don Chischiotte' di Cervantes, che il cinema attinge per le sue produzioni a realtà letterarie più o meno di successo. E questo è terreno consolidato con le solite ombre (tante) e le solite luci (un po' meno): affidabilità della trasposizione in termini di trama, fedeltà ai personaggi e capacità di una sintesi coerente (difficilmente salvo rare eccezioni, e 'Lo Hobbit' potrebbe essere una di queste, vedere un film richiede più tempo che leggere il corrispettivo romanzo).
Poco tempo fa mi sono espresso sul concetto di 'responsabilità', su come questo è stato travisato e deformato per compiacere la necessità di trovare responsabili, dove responsabili non ci sono. O di costruirci un alibi inattaccabile per l'immobilità sistematica che fa comodo a noi e soprattutto fa comodo agli altri. Altra cosa, ma che sono certo deve far capo agli stessi principi, è il senso del 'Controllo. Autori come George Orwell o come Alan Moore hanno dissezionato il concetto di 'Controllo' e lo hanno rimontato portando all'eccesso tutte quelle cose che temevano, che vedevano intorno a loro o che, in un qualche modo distorto e disperato, desideravano. Lo hanno fatto inventando regimi autoritari nei quali la responsabilità finiva per concentrarsi tutta nelle mani di pochi (fossero essi persone o autorità impersonali) e che, per genetica e costituzione, dovevano imporre un controllo serrato su tutti i componenti della società. Responsabilità, e controllo. Senza nemmeno sforzarsi troppo rimbalzano entrambi nello stesso concetto.
Sgombriamo subito il campo da facili fraintendimenti: non sto parlando della possibile presenza di un non-morto come concorrente alla prossima edizione del grande fratello. Anche perché, e lo dico senza timore di smentita, ho come l’impressione che non sarebbe proprio una novità. Chiarito di cosa non ci vogliamo occupare, andiamo nel vivo di questa breve recensione. Una delle tendenze che si è andata via via rafforzando negli ‘zombie movie’ proprio a partire dal 2005 (data di uscita del romeriano ‘La terra dei morti viventi’) è stato l’approccio laterale all’invasione dei morti-viventi. Non più pellicole incentrate su come il mondo reagisce alla minaccia degli zombi, ma spaccati di come ecosistemi ridotti si rapportano all’imponderabile prosperare dei mangiatori di uomini (penso a ‘L’Orda’, ‘Diary of the dead’, ‘Survival of the dead’, etc).
Quando si parla di zombi, cinematografici o meno, è impossibile non prendere come punto di riferimento Geroge A. Romero che ha trasmutato lo zombi da haitiano a quello occidentale delle ‘zombie walk’ (anche noi in Italia abbiamo avuto la nostra prima marcia dei morti viventi a Reggio Emilia, il 26 febbraio 2011) e protagonista di una vasta filmografia di mangiatori di uomini.