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Superman o Man of Steel?

Tempo di lettura: 4 minuti

Era il 1978 quando Richard Donner portò sul grande schermo il primo e il più grande di tutti i supereroi: Superman. Lo fece reclutando il perfetto e compianto Christopher Reeve per il ruolo di Kal-el e quel geniaccio di Gene Hackman per l’arcinemico Lex Luthor.
Il risultato fu talmente centrato da guadagnare ben altri tre seguiti e da gettare un’ombra molto lunga sul futuro dell’uomo d’acciaio. Reeve era semplicemente troppo perfetto e inimitabile (però si diceva lo stesso anche del Joker di Nicholson, e non lo dico a caso), le atmosfere troppo azzeccatamente fumettistiche e Hackman troppo Luthor (o Luthor troppo Hackman). L’ombra, dicevamo, si allungò fino al 1987 con l’ultimo (e quarto) capitolo del Superman di Reeve. L’eleganza era perduta ma l’eredità di un attore perfetto pesantissima da superare, complice anche il destino infausto che toccò a Reeve (morto dopo una lunga tetraplegia nel 2004).
Ci provò nel 2006 con ‘Superman Returns‘ l’ex bambino prodigio Bryan Singer fresco fresco della riuscitissima accoppiata X-Men (2000) e X-Men 2 (2003). L’intento era chiaro: un reboottone comunque legato ai film precedenti ma che avesse la forza e l’ambizione di far dimenticare le atmosfere squisitamente fumettistiche dei film anni ottanta portando il terreno di scontro e narrazione su un altro piano. Scegliere l’attore giusto era solo la metà del cielo (Brandon Routh funzionava): occorreva individuare qualcosa di nuovo che al cinema, su Superman, non si era mai visto e non era mai stato detto. E allora ecco: Kal-El non è solo dotato di poteri eccezionali. E’ il migliore di noi. Anzi. E’ talmente superiore da non poter far altro che sentirsi diverso e caricato di una responsabilità quasi divina. Concetti interessanti ma purtroppo annegati in troppa confusione: un Lex Luthor (Kevin Spacey) impegnato a scimmiottare Gene Hackman, la love story con Lois Lane poco avvincente e una problematicità emotiva di fondo, chiave di volta del reboot, troppo frammentata.
Eppure la strada era quella giusta. E adesso? Cosa è successo di nuovo?
Una cosa non da poco: è uscito il primo trailer ufficiale di ‘Man of Steel‘  (19 giugno 2013), vero reboot di Superman firmato da due dei più talentuosi nomi che il cinema moderno possa mettere in campo: Zachary ‘Zack’ Snyder alla regia e il Re Mida della celluloide Chris Nolan come produttore e sceneggiatore. Tralasciano per questioni di spazio (ma ci ritornerò) il cast e gli omaggi squisitamente fumettistici già evidenti in questo trailer di due minuti e poco più, una cosa salta all’occhio. Qualcosa che fino a questo momento era solo una bella fantasia (per chi aveva dedicato un po’ di tempo alla storia della coppia), ma che inizia a trovare conferme concrete. ‘Man of Steel’ sarà incentrato sulle debolezze di Superman così come gli ultimi tre Batman erano incentrati sulle psicotiche ossessione dell’Uomo Pipistrello, e qui c’è lo zampino di Nolan. Essere il migliore di noi, cambiare il mondo con i propri poteri, scontrarsi con la paura delle persone normali, decidere di nascondersi, impedirsi di diventare quello che cui siamo nati, vincere la paura. Cosa possiamo intuire? Da un lato le parole di Papà Kent/Costner che mettono in guardia il giovane Clarke da ciò che è e da ciò che può essere, perchè comunque sua è la responsabilità di cambiare il mondo. Dall’altro la natura comunque aliena di Kal-El, innegabile e irresistibile, forte come il più solido dei retaggi che sia dato immaginare e incarnata da Jor-El/Crowe e da Krypton. La metamorfosi singeriana qui si arricchisce e si completa e di questo bisogna dare atto al regista: aveva capito cosa doveva essere fatto, ma non era stato forte abbastanza per farlo. O coraggioso a sufficienza.
Snyder e Nolan non hanno questo problema. E il loro ‘Man of Steel’ potrebbe far rinascere, come merita, il primo, il più vecchio e il più appassionato dei supereroi. Ne riparleremo nei prossimi mesi ma il dado, come si dice, è tratto.
Buio in sala.

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