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Narratografia?

Tempo di lettura: 3 minuti

Da sempre (e per sempre) si discute (e si discuterà) del rapporto tra letteratura e cinema. O meglio, tra narrazione letteraria e relativa trasposizione cinematografica. E più o meno dal 1903, con il primo cortometraggio muto tratto dal ‘Don Chischiotte’ di Cervantes, che il cinema attinge per le sue produzioni a realtà letterarie più o meno di successo. E questo è terreno consolidato con le solite ombre (tante) e le solite luci (un po’ meno): affidabilità della trasposizione in termini di trama, fedeltà ai personaggi e capacità di una sintesi coerente (difficilmente salvo rare eccezioni, e ‘Lo Hobbit’ potrebbe essere una di queste, vedere un film richiede più tempo che leggere il corrispettivo romanzo).

La cosa che invece è innovativa, o comunque più legata all’ultimo paio di lustri o poco più, è come e quanto il cinema abbia cambiato il modo di leggere. E’ una considerazione che mi è sorta spontanea in questi giorni, durante la rilettura  de ‘Lo Hobbit‘ preparatoria alla prossima uscita del film (13 dicembre).
Alla base di questo ragionamento ci sarebbe un principio tanto indimostrabile quanto inconfutabile: la cellulosa vince sempre contro la celluloide. Semplificato ai minimi termini: per qualche motivo, il film è sempre e comunque peggio del libro. Questo principio è stato messo in una certa difficoltà, a mio parere, nel 2001 (2002 per l’Italia) quando Peter Jackson ci ha sottoposto la sua visione de ‘Il Signore degli Anelli‘ (interpretazione, computer grafica, effetti speciali, etc etc). Ora, non mi spingo a dire che il film sia meglio del libro, ma mi prendo la responsabilità di affermare che alcune (circostanziate e soggettive quanto vogliamo) parti della trasposizione cinematografica hanno una tridimensionalità più appassionante rispetto a quella del libro.
Ecco il perchè della mia catalisi riprendendo in mano un libro di Tolkien che narratografo attraverso l’esperienza Jacksoniana. Stesso luogo, stesso delitto. Come è cambiato, venendo al sodo, il modo di leggere?
Parlo a titolo personale, ovvio, ma per quando mi riguarda ogni pagina dettagliata di descrizioni, ogni flashback che duri anche solo mezza facciata, ogni sequenza narrativa d’azione apre la porta al ‘come sarà?’ sul grande schermo. E allora l’inconscio attinge a piene mani da tutto lo scibile cinematografico di cui disponiamo montando, rimontando e scegliendo la regia che più ci piace. La mente, non lo scopro io, lavora più veloce di qualsiasi programma e il risultato è presto detto. La visione dello scrittore, che magari odia il cinema e che a tutto pensava meno che vedere la sua scena di combattimento girata da Michael Bay, viene digerita e riprodotta istantaneamente con i migliori effetti speciali.
Questo, senza ombra di dubbio, cambia il modo di leggere facendo focalizzare energie e ragionamenti su un piano più profondo (o più superficiale per i puristi) di quello indicato dello scrittore. Può arricchire, ma può anche distrarre e in certi casi può dare anche un valore maggiore a ciò che si legge.
Parlando con amici sempre più spesso mi sento dire di un libro: ne verrebbe un bel film. Ma questo è denigratorio o impreziosisce il valore finale del romanzo? Non lo so, ma di certo la distanza tra i due schemi di comunicazione, se mai c’è stata, si sta via via assottigliando.
Di come la narratografia cambi il modo di scrivere, ne parlerò la prossima volta.

Source Image: Mediterranews

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