“L’arroganza dell’uomo sta nel pensare che la natura sia sotto il nostro controllo. E non il contrario.” Ichiro Serizawa (Ken Watanabe), Godzilla
Nel 1947 il pittore americano Rudolph Franz Zallinger terminò il suo murale ‘The Age of Reptiles’, tutt’ora esposto all’università di Yale. Impiegò quattro anni per completarlo e, scorrendo da sinistra a destra la sua raffigurazione preistorica, il primo dinosauro che salta all’occhio è un massiccio T-Rex. Piuttosto distante dal clone con cui Spielberg ci ha viziato nel suo Jurassic Park (1997), era un mostro preistorico abbozzato, tozzo ma comunque imponente. Nel 1950, tre anni dopo, il pittore cieco Zdeněk Burian dipingeva un enorme ‘Iguanodon’ che torreggiava al centro di una vasta pianura. Ai piedi del dinosauro, un mucchio di ossa. Eretto, con zampe anteriori simili a braccia e dotate di cinque artigli ciascuna era una delle rappresentazioni più antropomorfiche dei mostri a sangue freddo che in quegli anni animavano il dibattito scientifico. Senza saperlo questi due artisti accomunati dalla passione per le creature preistoriche avevano innescato la miccia che tre anni dopo sarebbe deflagrata creando una prima versione grezza ma comunicativa del dinosauro più famoso del cinema (e della storia): Godzilla.