Premetto che non apprezzo molto i romanzi scritti in prima persona al presente perciò ero portatore di una diffidenza di base piuttosto marcata verso ‘Il seme dell’odio’. Non so perchè ma hanno sempre sferrato un colpo piuttosto definitivo alla mia sospensione di incredulità: faccio fatica a calarmi nel romanzo quando chi racconta la storia mi parla come se fossimo al bar. Sensazione che si è molto acuita, complice una stile che non condivido per niente, procedendo nella lettura.
Andiamo con ordine. La storia, di per sé, non è originalissima: quella che sembra essere un’inspiegabile epidemia trasforma alcune persone in ‘hater’, odiatori, e oltre a potenziarne aggressività e riflessi, li spinge a uccidere i non trasformati con una furia al limite dell’umano (il confronto con il riuscito ‘28 giorni dopo’ è inevitabile, anche per ambientazione inglese). La narrazione perciò si divide in un primo blocco nel quale il protagonista, insieme alla sua famiglia e alla classica e abusata reticenza del governo, si trova ad affrontare la crescente intensità dell’epidemia. Il secondo e più breve blocco è più dinamico e denso di azione.
Da un certo punto di vista è proprio in questa seconda parte che si concentrano i pregi (e i difetti) del romanzo. L’autore infatti pare dimenticarsi di alcuni assiomi a cui ci aveva abituato nei primi capitoli e gli ‘hater’ dimostrano un’insolita capacità logica. La cosa, in sé, racchiude idee interessanti ma appare un salto concettuale un po’ troppo rapido e robusto rispetto a come ci era stato descritto tutto nelle pagine precedenti.
Il fatto che il libro sia il primo di una trilogia, da un certo punto di vista, tranquillizza un po’ rispetto all’evoluzione di ciò che Moody ha iniziato a tratteggiare nel finale del romanzo ma il fatto che abbia cambiato le carte in tavola in corso d’opera, mette a rischio la coerenza del tutto.
Una cosa che invece ho trovato poco digeribile dall’inizio alla fine è lo stile: l’eccessiva volgarità e il modo molto yankee e americano di esprimersi di tutti i personaggi trasforma ogni dialogo e ogni riflessione in uno stereotipo poco convincente. Nessuno parla o pensa in quel modo se non in una versione hard boiled di seconda mano.
Insomma, prima di consigliarvelo aspetto di leggere come Moody chiuderà l’arco narrativo e come si distaccherà da quello che poteva sembrare un ‘semplice’ survival horror a base di zombie intelligenti.
Nota interessante a margine: pare che Guillermo Del Toro abbia opzionato il romanzo per farne un film. La stima che ho per Del Toro fa sì che il progetto risulti molto molto atteso.