Da appassionato di fantascienza e da attento osservatore delle dinamiche sociali (credo le due cose siano strettamente collegate), ho sempre speculato su come avrebbe reagito la razza umana al famoso primo contatto. Un primo contatto diretto, magari non necessariamente bellicoso, un primo contatto con una specie extraterrestre che poco ha in comune con la nostra.
Nel corso dei decenni (questa fantasia mi tormenta bonariamente da un bel pezzo) ho dato risposte diverse puntando la mia lente di ingrandimento verso zone e dinamiche differenti. Intorno ai vent’anni mi ero chiesto se la conclamata presenza di una specie aliena non avrebbe messo in discussione i modelli religiosi monoteisti. Se la realtà di una razza stellare totalmente diversa da noi non avesse implicazioni così forti da mandare in tilt la comune percezione religiosa. Poi la maturità e probabilmente una maggiore comprensione di ciò che vuol dire la fede – al netto delle sue varie declinazioni – mi ha fatto spostare l’attenzione altrove. O forse è semplicemente stato il mondo con i suoi cambiamenti, le sue evoluzioni, le sue involuzioni a offrirmi un altro punto di vista.
Perciò intorno ai trent’anni fantasticavo sull’arrivo di una razza aliena e sulla possibilità – per me quasi certezza a dire il vero- che questa creasse una comunione planetaria mai vista prima. Incontrare un essere dall’intelligenza pari se non superiore a quella umana (prerequisito fondamentale della mia speculazione), ma del tutto diverso. Cosa di più efficace nell’ottica di un’alleanza planetaria? Cosa di più efficace per abbattere le meschine e pretestuose differenze tra esseri umani? Cosa di più efficace per azzerare le diversità percepite, cercate a manipolate se non la presenza di una specie ‘altra’ che ben poco ha in comune con noi? Di fronte a una nuova specie planetaria, sia essa eptapodica come come quella di Arrival o sia essa più terricola come i gamberoni di Distric 9, non sarebbero poca cosa l’inutile razzismo terrestre? Non ci troveremmo tutti più uniti, più umani, più noi? Forse. O forse no.
Perché a quarant’anni suonati e soprattutto alla luce degli ultimi diciannove mesi mi sono trovato a dover cambiare paradigma. Cioè a spostare la mia attenzione da cosa potrebbe catalizzare l’arrivo di una razza aliena per rivolgerla verso una domanda ben più laconica: il famigerato primo contatto, sarebbe davvero percepito come tale? Cioè, quale percentuale della popolazione rifiuterebbe l’ipotesi che il contatto sia reale rivolgendo la propria attenzione a teorie differenti? Più confortevoli, forse o magari più ostili, o più reali, o più false. Non ci giro intorno: il COVID, almeno nella sua forma iniziale, avrebbe potuto essere l’equivalente di un primo contatto/invasione aliena.
Un organismo ‘terzo’, qualcosa che poco ha in comune con la biologia umana e che di fatto potrebbe essere percepito come alieno, stravolge tutto il pianeta. Tutto, nella sua interezza. I social mostrano fotogrammi di paesi lontani in cui la situazione è identica a dove viviamo noi. Un evento che colpisce indifferente alle latitudini, al ceto sociale, alla religione, all’urbanizzazione, alla scolarizzazione, alla ricchezza. La prima, vera, esperienza collettiva simultanea di cui ho memoria. Perciò, dal mio punto di vista, un evento epocale con una genetica sociale paragonabile a quella di un primo contatto. Le risposte? Le sto raccogliendo. E attenzione, non le giudico, non è questa la sede e non è questo l’intento: rilevo solo che davanti a una cosa per me così totale, chiara, evidente come la pandemia che stiamo attraversando, le reazioni prendono sentieri che non mi aspettavo. Sentieri che poco hanno a che fare con la comunione e con la consapevolezza di trovarsi tutti insieme ad affrontare uno scenario comune. Al netto delle percentuali, al netto di tutto.
Se vi va di fare un piccolo volo pindarico, un esercizio mentale che lascia il tempo che trova, provate a considerare la pandemia una prova tecnica e mettetevi nei panni dell’alieno invasore: cosa segnereste sul vostro manuale di guerra?