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Tempo di lettura: 6 minuti

LA TERZA MEMORIA:
Beteah, la più capace dei Consiglieri del Verbo (il solo organo capace di manipolare la misteriosa energia che è stata l’origine del Disordine e che trae il suo potere dalla parola scritta), lascia la Città eterna in cerca di risposte. Dalle ceneri dell’apocalisse che ha devastato il mondo, si diffonde la leggenda di uno straniero capace di controllare il Verbo stesso: chi è, quale minaccia rappresenta per il Consiglio? Voci insistenti lo danno al nord, mentre il capo del Consiglio è tormentato da strani incubi che portano sempre allo stesso nome: Cartesio.
Cosa si nasconde nell’altra metà del paese? Chi minaccia il Verbo e tutto ciò che è stato costruito dopo secoli di disperazione? I compagni di Beteah si trovano di fronte a una ribellione inaspettata, ma faranno di tutto perché sui resti del Disordine non trionfi un caos ancora più mortale.

“La Terza Memoria” è un viaggio attraverso un’Italia prigioniera di un nuovo Medioevo che può essere salvata solo attraverso la conoscenza della scrittura. Ma il potere contiene al suo interno anche i semi della distruzione ed è proprio questo pericolo che Beteah e i suoi compagni dovranno affrontare.

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Capitolo 1
Lo straniero

Il rumore di passi si moltiplicò, allungato dalle ombre del tardo crepuscolo: una eco stonata che andava rafforzandosi tra i diroccati vicoli della città morta.
L’uomo ammantato di nero si fermò. L’ondeggiare dei laceri pezzi di stoffa che lo avvolgevano rendeva liquida la sua ombra. Fece scivolare il tacco metallico sul marciapiede sfregiato dal tempo: fu come il grido di un rapace.
Altri passi intorno a lui. Dietro le macerie, dietro le finestre pericolanti, sotto le volte scolorite dei palazzi. Annusò l’aria e, da sotto il cappuccio, le labbra si tesero in ciò che sembrava un sorriso: da tanto tempo non sentiva più l’odore degli uomini. Quanto?
Il primo uscì dallo stretto vicolo poco avanti a lui. Era avvolto da malconci frammenti di stoffa multicolore: pezzi di pelle morta incollati al corpo solo per abitudine. I capelli lunghi e sporchi sembravano estendersi anche sul volto attraverso una barba tanto incolta da mascherarne i lineamenti. Le mani, secche e nodose, stringevano un grosso tronco. Quella malconcia città ai confini del Nord, a ridosso della Frattura, sanciva la fine e l’inizio della civiltà.
— Chi sei? — grugnì l’uomo di stracci.
Altre ombre, intorno, come squali che emergevano dagli abissi. Come per molte altre cose, conosceva i predatori del mare anche senza averli mai visti.
— Dacci tutto quello che hai — ripeté il pezzente, premendosi il tronco al petto. — Stivali, vestiti. Tutto. — Continuò.
— Tutto — gli fecero eco gli squali.
Lo straniero sfilò le mani da sotto il manto nero e le lasciò cadere lungo i fianchi. Le ombre si mossero, agitate. Grugniti e minacce biascicate.
— Hai capito? Voglio tutto quello che hai. Altrimenti ce lo prendiamo. Ce lo prendiamo, hai capito? — l’uomo di stracci fece un passo avanti ma la sua voce cigolava, inquieta.
Gli altri seguirono il suo esempio in modo convulso: scattavano, allungavano una mano, e poi ritornavano sui loro passi. Come cani randagi. Come scimmie.
Ma nessuno, per il momento, aveva il coraggio di toccarlo.
Lo straniero li incitò facendo un passo avanti verso l’uomo di stracci: era il loro capo e per mantenere il potere sul branco sarebbe stato il primo ad agire. Doveva essere lui, il primo.
Un altro passo, due, tre. Le altre ombre osservavano, immobili.
— Cosa fai? — grugnì l’uomo di stracci sputando per terra. — Ti spacco la testa, con questo, lo vedi? Ho già ucciso, con questo! — Sventolava il bastone come una reliquia.
Lo straniero non rallentò. Altri tre passi lo portarono a poco meno di due metri dal suo avversario mentre il bastone aveva preso a vorticare in pericolosi cerchi.
Quando il margine nodoso del legno lo colpì sul volto tutte le altre ombre fameliche smisero di respirare, in attesa.
Lo straniero piegò la testa all’indietro poi ricadde in avanti, crollando sulle ginocchia. Chiazze rossastre macchiarono il terreno colorando il grigio marciapiede. Si piegò, accucciandosi, e curvando la schiena.
Intorno le ombre risero meno nervose: avevano preso coraggio e presto, come in ogni branco, tutti si sarebbero gettati su di lui per reclamare un brandello del trofeo. Ma il dolore al volto era già passato: lui era abituato a cose peggiori.
Si mosse allargando i vestiti come un mantello e si alzò: sembrava emergere da una pozza di oscurità. Quando fu in piedi sollevò la testa: un rivolo di sangue gli scendeva sul collo dal labbro spaccato, tuffandosi poi tra le pieghe della tunica. Le dita, anch’esse macchiate di sangue, artigliavano l’aria. Fece un passo indietro trascinando i tacchi sul cemento.
— È tardi. È tardi — ululò l’uomo di stracci. — Ti avevo avvisato, lo avevo fatto. E adesso devi morire. Adesso ti devo uccidere.
Riprese a mulinare il bastone pronto a sferrare un secondo colpo. Ma il movimento del troncò morì a mezz’aria spento dal terrore che ora sgorgava dagli occhi dell’uomo di stracci. Stava fissando il terreno ai piedi dello straniero: tra le crepe e il cemento fratturato, era comparsa una scritta rossa di sangue.
— Cosa? — chiese, facendo scivolare il bastone al suo fianco. Cadde, un suono sordo come il rintocco di una campana — Sai scrivere? Cosa… cosa hai scritto?
Lo straniero scoprì il volto: era completamente calvo ma righe nere salivano dai suoi occhi fino alla fronte, per poi scendere intrecciandosi in intricati disegni dietro la nuca. Gli occhi, pozzi di tenebra, fissavano l’uomo di stracci.
— “Fiamme” — disse, leggendo.
Il crepuscolo avvampò: fumo, puzzo di carne bruciata, e grida. Grida che si spensero molto prima del fuoco.

Rassegna stampa:
La Terza Memoria: ReggionNelWeb
La Terza Memoria: Gazzetta di Reggio
La Terza Memoria: Leggilanotizia.it di Daniele Barbieri

Altri link:
Arts of ‘La terza memoria’ – La Torre dei Numeri
– Arts of ‘La terza memoria’ – Imola

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