VOTO:
Ho recuperato questo romanzo con un po’ di ritardo rispetto alla media nazionale dei colleghi appassionati di fantascienza e mi aspettavo molto da Alastair Reynolds: le mie aspettative, quasi nelle loro completezza, non sono state deluse.
Andiamo con ordine.
Tentare di riassumere la trama in poche righe non renderebbe giustizia al lavoro monolitico di Reynolds perciò mi limiterò a dire che all’inizio l’autore si occupa di tre blocchi narrativi in apparenza slegati tra loro i quali però, un po’ alla volta, finiscono con il riunirsi a bordo della micidiale ‘Nostalgia dell’Infinito’, enorme astronave Conjoiner le cui origini sono perse nel passato. Il personaggio portante della space opera, o almeno quello intorno al quale ruotano tutti gli avvenimenti di Revelation, è Daniel Sylveste, archeologo con un ingombrante passato (e con un padre olografico ancora più complicato da gestire) i cui studi sull’estinta cultura degli Amarantini sembrano nascondere molto di più di quando mostrano. Dal loro segreto infatti dipendono le sorti dell’intera galassia.
I punti di forza sono molti: Reynolds manipola la tecnologia in modo molto esperto e sfruttando le sue solide basi personali connota ogni parte della narrazione con una veridicità capace di sospendere l’incredulità del lettore praticamente all’infinito. L’universo da lui immaginato è dettagliato e preciso, figlio di un lavoro creativo notevole e articolato.
Certo è che il paragone con l’Hyperion di Dan Simmons non può essere ignorato e il fatto che io ne sia fresco di lettura complica il mio giudizio sul lavoro di Reynolds.
Perchè? Solo ed esclusivamente perchè Hyperion è troppo perfetto. Reynolds è un ottimo tecnico e un demiurgo geniale ma i dialoghi e le interazioni tra i personaggi non sono il suo punto di forza. A volte ho l’impressione che metta molta più energia nella scrittura tecnica e di ambientazione che nelle relazioni tra gli attori della sua opera. E questo non sarebbe un male in un romanzo assolutamente corale ma Revelation è molto, molto, molto incentrato sulle azioni dei singoli che vengono spesso sopraffatti dai fortissimi colori del contorno, finendo con lo sbiadirsi. E tutto è permeato da un senso di predestinazione che indebolisce il maestoso impianto narrativo del quale invece Reynolds può andare più che fiero.
I difetti di cui sopra dequalificano il romanzo? Assolutamente no. E’ e resta visionario, dotato di una trama complessa che si srotola in modo molto interessante e con trovate che flirtano con il puro genio (i Giocolieri Mentali per dirne una) ma l’impressione, a fine lettura, è di non essersi affezionati a nessuno dei protagonisti.
Questo, soprattutto con il vividissimo ricordo di Hyperion impresso nella mente, mi ha costretto a sacrificare mezza stella nella mia votazione complessiva.
Ovviamente non posso esimermi dal continuare la lettura dei successivi romanzi perchè, a meno delle debolezze veniali di cui sopra, si tratta comunque di un opera notevolissima.
di Maico Morellini