VOTO:
Quando un artista decide di trasmettere attraverso le sue opere qualcosa di molto personale ci sono due possibili risultati: il primo è che si trattava di esperienze talmente intime da produrre qualcosa di troppo criptico e scentrato (penso ad ‘Antichrist’ (2009) di Lars Von Trier, per dirne uno), il secondo è che a prescindere dall’intimismo è talmente tanta la passione che l’opera nella sua completezza non può fare a meno di coinvolgere (penso al romanzo ‘Misery’ (1987) di King, una metafora sulla dipendenza).
‘Cloud Atlas’ appartiene al secondo caso.
La storia di snoda attraverso sei differenti linee temporali, alcune narrativamente legate tra loro, altre unite da un sottile fil rouge concettuale che tocca tematiche solide quali la libertà, l’autodeterminazione, il desiderio di conoscere chi e cosa si è. Si va dal 1800 fine a due ambientazioni future: una distopica e l’altra post apocalittica.
L’idea di base arriva dall’originale versione cartacea dell’inglese David Mitchell, romanzo pubblicato nel 2004, dove le sei storie si alternavano in una costruzione temporale complessa e articolata ed è su questa idea che i Wachowski costruiscono la loro visione.
E’ piuttosto difficile non dissezionare la pellicola anche attraverso la lente di ingrandimento che le vicende personali di Larry (ora Lana) Wachowski ci offre. Il romanzo di Cloud Atlas, incentrato sulla tematica della reincarnazione, sembra infatti aver fornito un assist irresistibile alla regista, divenuta donna dopo un lungo e sofferto cambio di sesso. Forse non è pura reincarnazione, ma si tratta comunque di una persona che ha vissuto (e sta vivendo) una nuova vita differente pur mantenendo consapevolezza di quella precedente.
Ecco motivata, a mio avviso, la scelta di utilizzare gli stessi attori per ruoli così diversi (quasi ogni attore interpreta più di un personaggio, anche di un altro sesso). E’ un’esperienza che Larry/Lana ha vissuto in prima persona e che decide di sfruttare, trasponendola sul grande schermo. E funziona, funziona molto bene senza mai risultare pretestuosa.
Decidere di girare ‘Cloud Atlas’ intrecciando le trame, saltando da un tempo all’altro così spesso, è uno degli esperimenti più rischiosi (e coraggiosi) a cui io abbia mai assistito. La continuità viene spezzata eppure, anche grazie a richiami visivi che invece uniscono una scena all’altra, costruendo a tutti gli effetti una storia VISIVAMENTE unica, regge.
Non solo. Affascina, complice anche la bravura di tutto il cast (menzione d’onore per Jim Broadbent e Ben Whishaw), ricettivo e trascinato dalla forza vitale di Lana e dalla sua determinazione nel coinvolgere e nel trasmettere la sua esperienza. Non è esente da difetti, questo no. C’è qualche inciampo qua è là (soprattutto l’ultimissima parte) ma sono cose di poco davanti a una narrazione che, pur complessa e lunga, scorre liscia e coinvolgente. Riesce a far ridere, a commuovere, a fare riflettere e a sospenderci nella sua surrealtà. Ci sono trame eccellenti, come la divertentissima ‘La tremenda ordalia di Timothy Cavendish‘. E c’è la geniliatà di utilizzare una storia nella quale Robert Frobisher (Ben Whishaw) creerà parte della colonna sonora del film, che scorrerà attraverso il tempo e lo spazio.
Questo 2013 non poteva iniziare in modo migliore.