A volte uno scrittore decide di frugare nella storia seguendo le tracce di un particolare personaggio che la storia, in qualche modo, l’ha fatta. E a volte si imbatte in qualche buco, in qualche evento che a distanza di secoli appare poco chiaro o poco logico. In qualcosa, insomma, che ne solletica la fantasia. E allora scava, elabora, raccoglie dati, intreccia, incrocia e scopre che si possono tessere trame capaci di creare una bella storia. Anzi, di più, un bel thriller che pesca nel passato per raccontarci molto del presente e anche un po’ del futuro.
E’ esattamente, o almeno così la penso io, l’avventura che ha intrapreso Amitav Gosh in questo romanzo seguendo le tracce di Ronald Ross e della sua battaglia contro la malaria che gli ha valso il Premio Nobel. Gosh decide di ambientare la sua narrazione in un futuro informaticamente avanzato (grazie soprattutto al super computer Ava) facendola poi scorrere in due tempi diversi: il presente del protagonista Antar e il passato del protagonista Murugan.
L’indagine del primo sulla sorte del secondo procede in parallelo e grazie a questo stratagemma i fili del thriller che l’autore tesse arrivano a un intreccio conclusivo azzeccato ma purtroppo non così chiaro come avrebbe meritato.
Tuttavia il corpo centrale del romanzo, direi la sua gran parte, funziona decisamente bene. Se si sorvola sull’eccessiva spigliatezza di Murugan, che ha dialoghi coinvolgenti ma che finisce per essere un po’ troppo vittima dello stereotipo chiacchierone e americaneggiante che l’autore gli ha cucito addosso, tutta la sequela di eventi che ci racconta è a dir poco affascinante. Gosh ha fatto un lavoro straordinario di ricerca ed è riuscito a inserire elementi misteriosi sfruttando ogni angolo grigio nella storia personale di Ronald Ross e poi riempiendoli inventando, a tutti gli effetti, una scienza parallela a quella moderna. Una sorta di filosofia scientifica che privilegia i dilemmi della ricerca moderna basandosi su di essi per continuare la sua ricerca. Così il paradosso di Schrödinger, secondo il quale osservare qualcosa lo cambia, diviene il dettame portante di questa scienza parallela. E così facendo si aprono porte filosofiche e provocatorie molto interessanti.
Se tutta la parte di indagine scientifica si segue molto agevolmente e ci affascina per il suo livello di dettaglio la parte più prettamente filosofica, forse anche per una necessità insita nel concetto stesso di filosofia, è meno lineare e chiara. Si ha l’impressione di afferrare la grandezza del pensiero di Gosh senza però arrivare mai a ghermirlo in modo deciso e certo. Che sia voluta o meno, questa caratteristica può smarrire il lettore che preferisce le certezze narrative ai finali aperti, o avvolti da un nebbia troppo fitta.
Tuttavia le incognite e le riflessioni dell’autore spiccano in modo molto chiaro attraverso l’indagine di Antar e la tormentata maniacalità di Murugan. In alcune parti rivelatorie poi, siamo talmente affini all’ossessione di Murugan che soffriamo del suo stesso, frenetico desiderio.
Un libro intelligente, forse non così diretto come avrebbe potuto essere, ma che ha tante e dettagliate chiavi di lettura.
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